Intervista ai Mistake Five

I Mistake Five: Davide Corso (Sax), Claudio Pittaluga (Batteria), Daniele Romagnoli (Chitarra), Diego Artuso (Tromba), Giuseppe Chisalé (Basso).

Chi sono i Mistake Five?

Davide : I Mistake Five compiono il loro decimo compleanno. La formazione è sempre stata sax, tromba, chitarra, basso e batteria. Negli anni ci sono stati alcuni cambi riguardanti chitarra e tromba, ma dal 2015 la formazione attuale è stabile: Claudio Pittaluga alla batteria, Daniele Romagnoli alla chitarra, Giuseppe Chisalè al basso, Diego Artuso alla tromba ed io, Davide Corso, ai sax. E’ un gruppo di persone adulte che condividono la passione per diversi generi musicali e cercano di fonderli in questo esperimento, liberi da ansie quali il gradimento del pubblico dei locali, la vendita dei cd, e così via.

Claudio : I Mistake Five sono la liberazione dalla responsabilità che sentivo nei gruppi in cui ho suonato in precedenza, nei quali spesso scrivevo testi e musiche. I Mistake Five sono un gruppo di persone che mette liberamente a disposizione le proprie qualità e i propri limiti, senza preoccupazioni, costruttivamente.

Parliamo dei componenti del gruppo, la loro formazione, esperienze precedenti…

Davide : Nei Mistake Five suono sax contralto e soprano. Dopo 5 anni di pianoforte ho studiato chitarra jazz con Alex Armanino, poi flauto traverso alla Filarmonica Sestrese ed infine sassofono con Paolo Pezzi. Ho militato in diversi gruppi genovesi, spaziando dall’hard rock (parliamo degli anni ’80) dei Malison al prog/fusion del Great Complotto ed al jazz in big band con la Swing Band di San Fruttuoso. Oggi mi dedico prevalentemente al jazz. Conosco Giuseppe, il bassista, dal 1982. Un amico fraterno… Abbiamo suonato assieme in tante situazioni diverse e per me è sempre una colonna portante: posso non sentire nient’altro, ma se sento il suo basso sono a posto! E’ la solidità fatta suono.

Diego, il trombettista, l’ho incontrato nella Swing Band di San Fruttuoso. Un musicista versatile che non si spaventa di fronte alle proposte (musicalmente) indecenti che vengono fuori nei Mistake Five.
Diego : Per un fatto puramente anagrafico, provengo dal periodo culturalmente radicato negli anni ’70, in senso lato e quindi anche musicalmente. La musica classica, il pop, il blues, quindi il rock ed il progressive hanno sempre rappresentato la colonna sonora della mia esistenza. Sono partito dalla chitarra e poi la batteria, in gruppi locali, dove hanno marcato il territorio Roberto Martino, Paolo Bonfanti ed altri meno noti ma non meno interessanti, nel genere blues.

Dal ’74 mi sono avvicinato quasi per caso al jazz in occasione di Umbria Jazz, e da lì mai più abbandonato. Solo molto tardi, nel 2006, a cinquanta suonati, ho deciso di studiare la tromba jazz in Bb e la musica di conseguenza, partendo dal solfeggio, con il trombettista maestro Casati Giampaolo per sei anni consecutivi. Ed ora eccomi qui…

Claudio : Suono la batteria dal ’88, ho studiato prima col compianto Mauro Pistarino, poi con Pierpaolo Tondo ed infine con Roberto Maragliano. In passato ho suonato nei Megaptera in cui alternavamo cover a composizioni originali prevalentemente hard e progressive rock. Intorno alla metà degli anni novanta, con Daniele alla chitarra, abbiamo dato vita agli Ines Tremis con lo scopo di suonare musica contaminata e senza frontiere (e con il malcelato intento di destabilizzare, stupire e, perché no, infastidire il prossimo). Le influenze zappiane di Daniele e la passione per la musica fuori dai righi l’abbiamo portata nei Mistake Five, contribuendo per l’aspetto sghembo degli arrangiamenti.

Il genere che fate, come può essere definito e, se sto dicendo bene, il vostro legame con il prog.

Davide : Potrebbe essere definito jazz-rock, nel senso che la base è jazzistica (le composizioni, le strutture, l’improvvisazione, la strumentazione) ma le sonorità, soprattutto quelle di chitarra e batteria, e l’uso di riff sono spesso più tendenti al rock.
Il nostro repertorio è costituito essenzialmente da cosiddetti “standard”, i brani che costituiscono la letteratura del jazz (se ne contano circa un migliaio), il che, detto così, potrebbe fuorviare: non si tratta di un riarrangiamento degli standard ma di una riscrittura. Ci piace prendere uno standard, a volte anche solo una parte del tema, e usarlo come spunto compositivo per ottenere qualcosa di prevalentemente nuovo che mantiene un filo con il brano di partenza. Ci piace molto anche inserire citazioni più o meno nascoste.

Volendo fare una battuta, abbiamo fatto in modo di far storcere un po’ il naso sia ai jazzisti sia ai rockettari, ma ci divertiamo…
Claudio : Definire prog la musica che facciamo rischia di allinearci con quella folta schiera di emuli che ritengono, a torto, che sia prog rifare il prog di quarant’anni fa.

Erano Prog i Genesis negli anni settanta come lo erano i Mr Bungle negli anni novanta.
La domanda stessa che viene posta: “che genere fate?” mi assilla da sempre, visto che non ho mai suonato un genere diverso da quello che mi piace ascoltare. Fluisce tutto dalle orecchie alle dita e il risultato non è mai come quello che entra nelle orecchie. E’ un po come il telefono senza fili.

Parliamo del disco, un po’ dei brani contenuti in esso e se c’è qualche aneddoto particolare collegato ad essi…

Davide : Il disco, un EP di 4 brani registrato allo Studio Maia da Andrea Torretta, rappresenta l’approccio al jazz rielaborato di cui parlavamo prima: abbiamo preso 4 standard celeberrimi: “Summertime”, “Take five”, “My favorite things” e “Naima” e li abbiamo utilizzati come punto di partenza per costruire delle composizioni fatte in gran parte di materiale originale e qualche citazione presa in prestito da altri domini musicali. Entrando un po’ più nel dettaglio:

Summertime” , dal Porgy & Bess di Gershwin, non ha bisogno di molte presentazioni: basti pensare che è al terzo posto nella classifica degli standard jazz più suonati al mondo. Nella nostra versione il riff di apertura è in realtà basato su un breve segmento melodico preso da un assolo di Chet Baker proprio su Summertime. Il tema vero e proprio invece è esposto da basso e tromba sordinata per poi essere richiamato, stravolto, quasi in caricatura, nel solo di sax soprano. Il finale cita nientepopodimeno che i Metallica \m/

Per ” Take Five ” di Paul Desmond (a cui si rifà anche il gioco di parole che costituisce il nostro nome), brano in 5/4 scritto nel 1959, quando i tempi dispari erano del tutto inusuali nel jazz e nella musica popolare in genere, abbiamo giocato su un mix di metrica in 5 e in 6. Una caratteristica della nostra rielaborazione è che il cosiddetto bridge, l’ “inciso”, non compare mai come melodia completa, ma solo come impianto armonico per gli assoli di chitarra e di sax prima, e accennato in scheletro in un interludio a tempo libero poi, verso la fine del brano. Nel solo di sax le suddette armonie ad ogni giro vengono traslate di una terza minore verso il basso, in modo da tornare, dopo 4 volte, alla tonalità originale.

My favorite things ” dal musical “Sound of music” (in italiano “Tutti insieme appassionatamente”) deve la sua fama in ambito jazzistico alla (re)interpretazione che ne fece John Coltrane nell’omonimo LP del 1960.

Claudio : La prima parte si sviluppa attorno ad un giro di basso ostinatamente funky su ritmo shuffle mentre il tema viene interpretato, come nelle colonne sonore di Schifrin, scomposto e stratificato dai due fiati.
Davide : Segue un’esposizione più canonica del tema (omettendo la parte in maggiore), e, dopo il solo di sax, una sua pesante rielaborazione dal sapore effettivamente un po’ symphonic prog, che si va ad agganciare al riff di YYZ dei Rush.

Naima ” dello stesso ‘Trane, ballad dedicata alla prima moglie ed inserita nel suo album-capolavoro “Giant steps”, di cui costituisce l’unico elemento che potremmo definire “meditativo” in mezzo ad una serie di brani pirotecnici, ha una melodia evocativa, struggente, che in apertura alla nostra versione viene proposta prima dalla chitarra e poi dai fiati.
Claudio : Nella parte centrale ci siamo invece divertiti a sfottere le celeberrime versioni “bossa” che sono tanto in voga nelle scalette jazz dei marchettari. Qui la bossa c’e’, ma e’ dispari. Toh. Davide : Esatto. Una bossa in 7/4 su un ostinato di basso. Il basso qui fa da perno attorno a cui girano le armonie di quella che di fatto è una composizione nuova, che solo qua e là richiama piccole cellule melodiche di Naima. Il gioco appare quasi rovesciato nella terza sezione, in cui il basso suona esattamente le note del bridge del brano di Coltrane, e gli altri strumenti ci costruiscono sopra un’impalcatura in cui si intrecciano diversi temi originali; con un ossimoro, un “assolo di gruppo” scritto.


Progetti ai quali state lavorando o che state per realizzare

Davide : Stiamo lavorando su brani nuovi, sempre con la stessa logica. Vorremmo anche fare altre registrazioni, stavolta magari con meno fretta di finire.
Claudio : La direzione e’ quella, destrutturare ma senza un preciso procedimento.
Siamo aperti a qualunque proposta, l’esperienza live è di fatto la linfa di chi suona, ma la proposta dei Mistake Five è decisamente difficile da piazzare. La fatidica domanda: “ che genere fate ” e la conseguente confusione della risposta non aiuta l’appetibilità del…prodotto.

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Intervista a Davide De Muro

Davide De Muro – Foto Guglielmo Barranco

Chi è Davide De Muro?

Beh, dire con esattezza chi è Davide De Muro non è facile.
Sono sempre stato un sognatore, ho sempre cercato la parte bella della vita, e la musica è stata un’ottima compagna di viaggio.
Ho avuto la fortuna di avere due genitori meravigliosi, che mi hanno fatto respirare quell’aria che sa di buono, di genuinità, di naturalezza, e tutto questo l’ho messo nella mia musica, anche se nei miei testi c’è sempre quella leggera vena malinconica che fa parte di me.
Oggi sono un musicista di 51 anni che ha ancora tanto da imparare, mi sono rimesso in gioco perché sono convinto che riuscire ad esprimersi e a condividere le proprie emozioni sia l’unico modo per dare un senso alla vita.

Ci parli della sua formazione e delle sue esperienze artistiche

Mio padre, grande amante della musica, all’età di 10 anni circa, mi mise davanti ad un organo Farfisa nuovo di zecca.
Cominciai così ad approcciare il mondo musicale, andando a lezione da un caro maestro che ricordo ancora con affetto, che aveva una stanza nei caruggi di Genova.
Il passaggio dall’organo alla chitarra fu repentino, rimasi affascinato dalle 6 corde, ricordo che i primi due accordi che imparai me li insegnò mio padre, un re maggiore e un la 7, insomma, più o meno quelli che servivano ad intonare Trilli Trilli.
Come tutti i miei coetanei poi rimasi folgorato dal mondo del Rock, così iniziai a suonare la musica dei Dire Straits e non solo, ascoltavo con piacere anche Paco De Lucia, Al Di Meola, John Mc. Laughlin nelle loro performance in Friday night in San Francisco, Cat Stevens, Michael Jackson, Jim Croce ecc.
Mi piaceva molto anche la musica mediterranea e sudamericana, il Fado di Amalia Rodriguez, le orchestre messicane e i famosi Los Indios Tabajaras della omonima tribù brasiliana, campioni di vendite mondiali.
Incisi il mio primo disco nel 1987 prodotto da Gianlorenzo Tubelli, registrato presso il Sync Sound Studio di Marco e Stefano Grasso, in Via Dei Giustiniani. 
Poi arrivò il secondo 45 giri, questa volta prodotto da Lombardoni di Milano. 
Seguì una lunga serie di concerti nei locali di Liguria e Piemonte con il mio tributo ai Dire Straits, fino a culminare col concerto del 2003 al Teatro Politeama di Asti, con il loro storico batterista Pick Withers. 
Una nuova formazione che mi vide coinvolto furono gli Stone Free, coi quali proponevo i grandi successi di Hendrix, Moore, Vaughan, Elvis, Ford ecc. 
Le cose si susseguirono rapidamente, ebbi la fortuna di coinvolgere ed essere coinvolto in collaborazioni con grandi artisti come Patrix Duenas, bassista di Edoardo Bennato, Mark Baldwin Harris, immenso musicista dei più grandi artisti da De André a Jannacci, Gaber, Ramazzotti, Pausini, Mia Martini ecc ecc. 
Poi gli incontri con Bruno Lauzi, Franco Fasano, Oscar Prudente, Giorgio Conte, e tanti altri coi quali ho avuto modo di condividere esperienze artistiche.
Grande soddisfazione poi ho avuto nel collaborare con i più grandi rappresentanti della musica dialettale genovese come Piero Parodi e poi Vladi dei Trilli.

Davide De Muro – Foto Guglielmo Barranco

Suonare con suo figlio. Com’è il rapporto padre-figlio in questa situazione?

Suonare con il proprio figlio è un mix di emozioni e di grande fatica. 
I figli per imparare devono avere maestri esterni, nei confronti dei quali provare un po’ di timore reverenziale, solo così possono dedicare la giusta attenzione allo studio. 
Insegnare musica ad Alessandro è stata un’avventura fantastica ma molto impegnativa, resa ancora più difficile dal mio carattere spesso scontroso, ma devo dire che i risultati sono stati apprezzabili, e la soddisfazione nel condividere un’arte così sublime col proprio figlio è qualcosa che non si può descrivere facilmente. 

Tradizione e innovazione, due concetti trattati spesso sulle nostre pagine, basti pensare al trallalero genovese, tanto per citare
un esempio… di casa nostra. Andare avanti, con un occhio al passato. Quanto si ritrova in questa affermazione?

La tradizione è qualcosa che ci lega al nostro territorio quando lo viviamo con lo spirito giusto e proviamo un radicato senso di appartenenza ad esso. 
Genova per me è una madre, è il luogo dove sono nato e dove ho vissuto profonde esperienze e sensazioni, soprattutto legate al mare e a tutto ciò che lo circonda. 
Personalmente non troverei la forza di innovarmi e di andare avanti, senza l’ispirazione che mi arriva dal passato, l’esperienza è la più grande maestra di vita che ci sia, noi siamo ciò che abbiamo vissuto, siamo fatti di ricordi, di piccole tessere di un puzzle che si completa man mano che passa il tempo. 
Penso che l’uomo debba ritrovare la sua dimensione, una dimensione che gli permetta di sentirsi a suo agio nel suo ambiente, nel posto dove si possa sentire a casa; solo così le interazioni con le altre culture diventano preziose, confrontandosi, trovando punti in comune anziché differenze ma mantenendo il rispetto per le proprie origini.
Non a caso ho recentemente scritto una autobiografia in lingua genovese dal titolo “Tanto pe contâ”, edita da Erga, con annessa traduzione in italiano, e ho deciso di scriverla in genovese per sottolineare e difendere la mia appartenenza. 
Il Trallalero è la più antica forma di canto della tradizione genovese, è un qualcosa di cui non si può non tenere conto quando si cerca di trovare nuove melodie o nuove sonorità, il nuovo arriva sempre da ciò che è stato costruito prima, e la musica non ha confini. 

Il progetto discografico Davide De Muro & Friends. Ci vuole raccontare qualcosa riguardo quest’ultimo lavoro?

Davide De Muro & Friends è il punto di arrivo di tutto ciò che è stato il mio percorso di vita fino ad oggi. 
Sono 9 brani di cui 8 autobiografici più uno fantastico strumentale che porta la firma di Mark Harris, che è anche l’editore musicale dell’intero album. 
Ho avuto la fortuna di avere un parterre di musicisti eccezionali, che hanno accettato di buon grado il mio invito a partecipare al mio lavoro, ma soprattutto, cosa più importante, lo hanno fatto senza alcun compenso, mossi soltanto da un sentimento di amicizia e dall’amore per la buona musica. 
È un album di nicchia, va ascoltato con attenzione per cogliere le sue molteplici sfumature musicali e letterarie; io dico sempre che è un CD da ascoltare davanti al caminetto con un bicchiere di buon vino.

Davide De Muro & Friends

Qualche anticipazione sulle sue attività?

In questo momento sto organizzando, con l’aiuto dei miei collaboratori, l’uscita della mia nuova formazione nei teatri ed auditorium del territorio, con diverse tipologie di spettacolo e diversi ospiti a sorpresa. 
Spero di riuscire a far ascoltare la mia musica a quel pubblico che in questo momento sta cercando un’alternativa al conformismo di tutto ciò che passa oggi sui media.

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