Viaggio in Valpolcevera

Itinerari culturali, naturali e naturalistici


Fabio Mazzari è nato e vive a Genova. Giornalista professionista iscritto all’Albo, collabora regolarmente con la testata “Echo d’Europe”. In passato ha collaborato con diverse testate. Appassionato di letteratura gialla ha pubblicato per Leucotea Editore il suo romanzo “Immacolata di Sangue”.

Arriva in questi giorni in libreria Viaggio in Valpolcevera il libro di Fabio Mazzari, edito da Erga.
Il volume é una guida per conoscere meglio la Valpolcevera e i suoi luoghi più caratteristici; corredato dalle immagini di Stefano Spadacini, è il frutto di quasi un anno di lavoro svolto tra interviste e sopralluoghi.

Il libro, primo di una serie di tre, propone itinerari culturali da scegliere sul territorio di cinque Comuni polceveraschi: Ceranesi, Campomorone, Mignanego, Serra Riccò e Sant’Olcese.

Villa Serra, il Castello di San Cipriano, il Borgo di Ciaë scorrono tra le pagine, accanto al museo delle marionette a Campomorone e la Ferrovia Genova Casella.

Interessanti anche i riferimenti a palazzi storicamente significativi come La saliera di Campomorone, costruzione adibita allo stoccaggio e al commercio del sale o il paxo di Torbi – frazione del Comune di Ceranesi – un antico palazzo di giustizia risalente al periodo della Repubblica di Genova.

Il volume racconta anche di personaggi polceveraschi come Stefano Pittaluga, pioniere della cinematografia e scopritore del primo Totò e Amedeo Merello, pittore originario di Mignanego.

Tra i prodotti della valle vengono ricordati il gustoso salame di Sant’Olcese, il vino di Coronata e l’amaretto di Santa Marta.

 

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Come se fossi sano

Bianchi e Denei alla presentazione del libro “Come se fossi sano” di Carlo Denei – Foto di F. Mori

Quasi un perfetto manuale per ipocondriaci

Venerdì 22 Febbraio si è svolta presso La Feltrinelli di Genova la presentazione del libro Come se fossi sano di Carlo Denei, pubblicato da Cordero Editore nella colonna Mosaico.

L’autore, genovese classe 1957, poliedrico artista e autore di Striscia la notizia, ha già al suo attivo numerose pubblicazioni.

A condurre la presentazione Alessandro Bianchi, ex compagno di Denei nella formazione Cavalli Marci.

Il libro tratta di ipocondria ed è un vero manuale per risolvere i problemi legati a tale status psicofisico. Farmaco fondamentale, la vena ironica dell’autore.

Tra il pubblico, nomi noti nell’ambiente del cabaret genovese e Claudio Onofri, ex calciatore, chiamato da Denei “Il mio capitano” – vista la sua fede rossoblù – e uno smagliante Enrico Lisei, psicoterapeuta e cantautore della scuola genovese che incanta il pubblico con un brano sull’ipocondria.

Carlo Denei regala alla sua città un momento disteso che raggiunge il suo culmine con una performance acustica de La bara, brano che riassume in pochi versi tutto il filone comico di Carlo Denei.

 

 

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Intervista a TriOblique

TriOblique

TRALLALERONLINE: Salve ragazzi, grazie per averci concesso questa intervista. Innanzitutto, potete dare una breve presentazione del vostro progetto per i nostri lettori?

TRIOBLIQUE: Buongiorno! Grazie per questo spazio. Il TriOblique è un progetto nato a Genova recentemente: il nostro repertorio attinge alla musica da ballo tradizionale del centro-nord della Francia, arricchita da influenze più moderne e trasversali. Una buona parte della nostra musica consiste nelle affascinanti canzoni a ballo in catena provenienti dalla Bretagna, ma insieme a queste il repertorio è ricco delle danze più ricorrenti nell’ambito del bal-folk, come la bourreé, la mazurka, il valzer, la scottiche, la polka e la chapelloise.

TOL: Anche sul vostro sito internet si legge la definizione di bal-folk. Di che cosa si tratta?

T: Il bal-folk è un vasto movimento che recentemente sta riscoprendo la magia delle danze popolari dell’Europa occidentale. Nell’ultimo decennio sempre più persone si riuniscono in tutta Europa per danzare insieme, rivitalizzando e reinventando la musica tradizionale in un’ambiente di condivisione e amicizia. Dai più piccoli incontri ai grandi festival, moltissimi giovani in Italia, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Germania hanno ritrovato il piacere del ballo popolare, creando lo spazio per numerosi gruppi musicali che propongono musica da ballo in vesti sempre nuove e diverse.

TOL: E per quanto riguarda il vostro Trio, quali strumenti impiegate? Qual è il background musicale dei componenti del gruppo?

T: La forza motrice del gruppo è Aurelien Congrega, giunto da Parigi, un rockettaro da tempo prestato alla musica popolare, un pozzo di scienza per ciò che riguarda danze e canzoni tradizionali. La sua voce è l’elemento di traino delle canzoni del gruppo, e il suono del suo bouzouki irlandese intesse le melodie e le ritmiche che conferiscono al Trio un’impronta sonora caratteristica.

Susanna Roncallo, nativa di Sant’Olcese, è una bravissima chitarrista dallo stile molto personale, conosciuta per il suo affascinante repertorio di chitarra fingerpicking.

Dario Gisotti, suonatore di uilleann pipes e tin whistle (cornamuse e flauti irlandesi) è da 10 anni impegnato nell’ambiente della musica tradizionale irlandese, e i suoi strumenti a fiato caratterizzano fortemente il suono del gruppo.

Tre voci molto diverse, tre strumentisti molto diversi, con background completamente differenti, per altro tre persone dal carattere completamente diverso, eppure un incontro fortunato, perché dal lavoro fatto insieme sta scaturendo un’energia molto positiva, e una musica che ci soddisfa tantissimo!

TOL: Noto però che non avete all’attivo dischi o altro materiale discografico. È previsto qualche lavoro a breve?

T: Il TriOblique è un progetto molto giovane! Non prima di giugno ha iniziato a prendere forma l’idea di questo gruppo, e abbiamo fatto un lavoro furiosamente veloce per mettere insieme il nostro repertorio, che ci sta ora permettendo di fare un buon numero di concerti in tutta Italia con grande soddisfazione. Ad ogni modo, è nostra intenzione avere un disco pronto prima di quest’estate, e sarà un buon compromesso tra musica strumentale e vocale, tra musica antica e moderna, tra brezza e tempesta!

TOL: Siete quindi già attivi dal vivo! Potete nominare qualcuno degli eventi a cui avete partecipato? 

T: Quest’estate la nostra prima uscita pubblica è stata a un bellissimo festival sull’Appennino, lo
Zap Fest (http://www.zapfest.it/), che consigliamo a tutti! In seguito abbiamo suonato a Bassano del Grappa grazie all’associazione “Uno è la Danza”, e a Cremona grazie al gruppo “La Combriccola
del Folk”. Abbiamo di recente suonato anche a Genova, grazie ad una interessantissima realtà
chiamata “Spazio Lomellini”, e in tutti questi casi abbiamo avuto un generoso responso da parte di ballerini ed ascoltatori.

Tra pochi giorni, il 14 febbraio, saremo a Torino presso la Casa del Quartiere, grazie all’associazione “Liberi Danzatori”, e poi altre date seguiranno, non soltanto in Nord Italia!

Prossimi appuntamenti:

14 febbraio, Casa del Quartiere, Torino (Liberi Danzatori).

21 febbraio, Circolo Combattenti Montegrappa, Genova.

5 aprile, Via Bobbio 26d, Genova (Gruppo danze di Banda Brisca).

17 maggio, Napoli (Neapolis Bal Folk)

TOL: L’idea di condividere tutte queste danze popolari sembra molto bella! Ma per chi non sa ballare, come si fa?

T: Non preoccupatevi, sembra davvero più difficile di quanto non sia. Tanti di noi, di questi tempi, hanno perso la piena capacità di muoversi a proprio agio nello spazio, e la danza per molte persone non è più una parte integrante della quotidianità, per cui il primo approccio è per molte persone alquanto scoraggiante.

Nonostante ciò, la comunità ‘danzerina’ è aperta e amichevole, e i principianti ricevono l’aiuto quasi incondizionato dei ballerini più esperti… quindi scegliete un concerto, e buttatevi: si impara un po’ alla volta, ma non per forza lentamente!

Per altro a Genova molti gruppi si riuniscono con cadenza settimanale per divertirsi e approfondire le danze di una o l’altra regione d’Europa, quindi consiglio a chi è interessato di approfittarne.

Sicuramente dimenticherò qualcuno, ma ogni settimana abbiamo:

  • Il lunedì le riunioni della “Folkaccia

  • Il venerdì le riunioni del “Ballatoio

  • Ancora il venerdì, ormai da anni, si riuniscono i ballerini di “Banda Brisca” in Via Bobbio

  • Il sabato mattina le riunioni di “Passi e Ripassi

  • I martedì sera d’estate, al Porto Antico, le belle serate del “Martedì Folk”

TOL: Grazie ancora per l’intervista, allora! Lasciate un saluto per i nostri lettori

T: Vi ringraziamo per lo spazio, e salutiamo tutti i lettori della rivista con una raccomandazione: riappropriatevi della musica popolare, ascoltate e ballate, è una medicina formidabile! Che sia musica della Bretagna, dell’Auvergne, delle Quattro Province, del Salento o della Sardegna, e non scordiamoci del nostro Trallallero. Tutti questi ritmi e queste melodie sono ancora annidati da qualche parte nelle nostre menti, e tutti i passi sono lì nascosti nei nostri piedi, pronti a essere riportati in vita!

per contattare TriOblique: dario.gisotti@yahoo.it

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TriOblique e Serena Artom alla Casa del Quartiere

Danza, musica e parole.
I Liberi Danzatori hanno preparato per voi una serata con tutti gli ingredienti necessari.

TriOblique e Serena Artom alla Casa del Quartiere – Via Oddino Morgari 14, Torino, Giovedì 14 Febbraio ore 21.15 

Serena Artom presenterà il suo nuovo libro di poesie, accompagnata dalla chitarra di Claudio Provaroni e dalle percussioni di Cristian Lizzer.
La serata proseguirà ballando sulle note del TriOblique, per la prima volta ospiti dei Liberi Danzatori.

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La Compagnia Sacco di Ceriana

Ceriana (Im)

 

Un’esplosione di colori, un’insieme di piccole case che si inerpicano sulla collina, i suoni della natura e del paesaggio che si intrecciano a quelli della vita quotidiana degli abitanti: così si presenta Ceriana, borgo dell’entroterra imperiese. Il canto popolare della Compagnia del Sacco, che qui nasce nel 1926, può essere considerato non solo un testimone più che sincero della tradizione cerianesca, ma anche un valido portavoce delle polifonie del Mediterraneo.

La Compagnia del Sacco – composta da R. Lanteri, A. Lupi, G. Martini, N. Martini, C. Rebaudo, M. Lupi e M. Soldano – deriva il proprio nome dall’abitudine dei contadini di portare sulle spalle un sacco bianco contenente il pranzo. Questo aspetto fornisce un’informazione importante sull’origine della tradizione cerianesca: essa nasce – così come altri tipi di musica popolare – nell’ambito del lavoro in campagna; successivamente, i contadini che cantavano nei campi decisero di riunirsi in un gruppo organizzato, con uno statuto scritto, diventando i primi membri della Compagnia del Sacco.

Armonico e organico è il risultato che si presenta agli ascoltatori, ma frutto di una struttura articolata: i bassi di bordone producono un suono continuo di accompagnamento, sul quale si instaura il canto, introdotto, generalmente, dalla seconda voce di baritono; a quest’ultima si associa la prima voce – più acuta – del tenore. La sovrapposizione di tali timbri vocali fa insorgere un “cantino”, un’eco illusoria che ricorda la voce femminile.

Dall’aspetto della quotidianità derivano la maggioranza dei temi del repertorio profano, composto da ballate, serenate e incatenature da osteria, molte delle quali riguardano personaggi del paese e fatti realmente accaduti, come pettegolezzi sulle trame degli amanti, matrimoni combinati, discussioni tra famiglie per l’eredità, i consigli delle madri non graditi dalle figlie; non mancano, nelle ballate, le tracce dei rapporti tra il ponente ligure e la Francia.

Il repertorio sacro – del quale fanno parte canti come lo Stabat, il Mater o il Miserere – è legato al calendario liturgico e si intreccia a quello delle altre confraternite locali; la loro attività assume un grande rilievo sociale in tutta la regione, in quanto fornisce l’accompagnamento musicale a tutte le manifestazioni, alle quali invitiamo a partecipare tutti i lettori di TrallalerOnline, gli appassionati e anche coloro che ancora non ci conoscono, affinché possano avvicinarsi a questa forma di tradizione popolare, aiutandoci a mantenerla in vita.

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Intervista a Mauro Balma

Nato a Genova, si occupa da oltre quarantacinque anni delle tradizioni musicali della Liguria e delle aree confinanti. Ha raccolto centinaia di documenti sonori corredati da numerose conversazioni con cantori, suonatori, narratori depositari della memoria popolare.

Ha realizzato, sull’argomento, trasmissioni radiotelevisive, organizzato incontri, scritto numerosi saggi e tenuto relazioni in Italia e all’estero. Da ricordare i due convegni Canterini all’opera, realizzati in collaborazione col Teatro Carlo Felice di Genova (1994 e 2000), ai quali hanno partecipato otto squadre di canto.

TRALLALERONLINE: Cosa vuol dire essere etnomusicologi oggi?

MAURO BALMA: In un mondo dove tutti sono in contatto con tutti e sbiadiscono i ”segni forti” delle musiche di radicamento, vuol dire avere a che fare con realtà musicali estremamente variegate: interagire con cantori e suonatori tradizionali, ma anche con musicisti professionisti che vivano delle musiche che ripropongono e trasformano, oltre a conoscere e discutere di musica e culture musicali con ricercatori di diverse estrazioni e differenti collocazioni. Molti etnomusicologi si rivolgono a repertori “esterni” come il jazz, la musica di consumo e ovviamente la World Music, anche nella convinzione che non ci sia poi più molto da ascoltare e raccogliere nel campo delle musiche di tradizione orale. In parte è vero perché le mutate condizioni sociali, lo spopolamento di intere aree del territorio, la dispersione e il diverso livello culturale delle nuove generazioni rispetto a quello dei cantori e suonatori più anziani, rendono impossibile quel contatto nel cui contesto la musica nasceva e moriva. Nonostante ciò, non si deve mai generalizzare: materiale nuovo se ne può sempre trovare.

 


TOL: Quanto e cosa è cambiato oggi rispetto ad allora, nell’ambito della ricerca etnomusicologica sul campo?

MB: Il panorama è cambiato molto sotto diversi punti di vista: mi viene in mente il notevole risparmio di spazio e fatica che il digitale permette rispetto ai vecchi registratori a bobina. In particolare penso al periodo delle mie ricerche sui concerti di campane, quando dovevo trasportare su per le infide scalette dei campanili un registratore alimentato da otto torcioni (quelle belle pile grosse!); inoltre, non volendo portarsi dietro il Revox a bobine grandi (cosa che qualche volta ho pure fatto), bisognava fare i conti con la durata di quelle più piccole, per cui si rimaneva sempre in uno stato di apprensione sperando che “ci stesse tutto”. Sul piano metodologico è cambiato il modo di affrontare la ricerca sul campo. Si è dedicata sempre maggior attenzione ai luoghi e alle persone, quindi più che sul “dove e quando” ci si concentra di più sul “come e perché”. Mi viene in mente una bella definizione della nostra disciplina dovuta a Jeff Todd Titon: Etnomusicologia come studio delle persone che fanno musica.

TOL: Il trallalero genovese è ed è stato per te un’autentica missione. Da cosa è stata motivata questa scelta?

MB: Beh, indubbiamente c’è stata la fortunata combinazione di trovarmi “in casa” uno splendido modo di cantare unico al mondo, che ti affascina e non ti molla più. Il bello del trallallero è che lo puoi osservare sotto gli aspetti più differenti: come spettacolo, come storia di costume, come repertorio da trascrivere e analizzare. Funziona sempre! Puoi decidere di volta in volta quale ruolo rivestire: spettatore, studioso e (quando capita) canterino “intruso”, per comprendere meglio quali siano i meccanismi all’interno del cerchio.

TOL: Raccontaci qualche aneddoto riguardante gli incontri con le squadre di canto

Nel canto di squadra esistono e voxi, che si comportano un po’ tutti da protagonisti, com’è normale per i solisti di qualsiasi genere musicale. Ai relativi capricci, insofferenze e malintesi si aggiungano oggettive difficoltà legate a problemi di salute, familiari, logistici e si avrà un quadro completo. Da qui i numerosi “mal di pancia” da trallalero, causati per esempio da improvvise defezioni, spesso seguite da provvidenziali e volenterosi salvataggi da parte di altri canterini o di pubbliche esibizioni in bilico, che popolano i miei diari alla voce Trallalero. Quando ti senti dire: e vabe’, quarcösa inandiëmo… non ti senti mai del tutto tranquillo! Non entrerò però nel dettaglio di nessuno di questi episodi.
Ricordo invece qualche avventura di trasferta come quella con i Canterini Centro Storico a Laives (BZ) del 1989. Io ero già lassù, impegnato in una relazione sul trallalero, quando vidi arrivare un pullman dal quale scese un adirato Miliëto bofonchiando: ’stochì o l’ha fæto a guæra d’Africa!. Sempre in tema di trasporti di dubbia affidabilità, mi ricordo di aver preso parte con la Mignanego a un festival tra le montagne del Tirolo (Obergulg, 2002), utilizzando un pulmino che già a ridosso del passo dei Giovi “ansimava” in modo preoccupante: come sia proseguito il viaggio è facilmente intuibile! Meglio il più sicuro treno per Innsbruck sempre con la Mignanego (1993), accompagnati da fiaschi di vino, fette di formaggio e canti in libertà, richiesti a gran voce (anche) dai passeggeri.

TOL: All’attivo hai molti anni di collaborazione con Edward Neill. Puoi raccontarci della tua attività di etnomusicologo insieme a lui?

MB: Ho conosciuto Edward Neill (1929 – 2001) nel 1970, ma solamente nell’anno successivo abbiamo stretto i contatti: erano già nati in me interessi verso le tradizioni musicali e con lui fui in grado di iniziare a svilupparli. Mi piace far risalire l’inizio delle mie ricerche al 21 marzo 1971, quando andai con lui a Trensasco, dove avremmo dovuto scoltare un gruppo di canterini che avevano scelto come nome Vecchi Canterini di Sant’Olcese. C’erano o Quan de Fontann-arossa da contralto, o Tëgia da primo, o Gin da chitarra, o Parpella da controbasso, oltre, naturalmente, ad un certo numero di bassi tra cui un certo Faveto padre di un altro canterino (Sandro), basso anche lui. Era una giornata orribile e nella “gloriosa” spyder di Neill pioveva attraverso il tetto bucato dal lato del passeggero e così dovetti stare in macchina con l’ombrello aperto!

Sempre in tema di registrazioni “storiche” effettuate con lui mi piace ricordare quella con un gruppo estemporaneo qualificatosi come Vecchi canterini della Valbisagno, effettuata alla Ligorna presso una non più esistente Ostaia do Tillio omaxelâ: da primo c’era il mitico Luigìn o Gandolfo e tra i bassi o Zanfera che cantava Questa l’é l’osteria della Stella / dove c’è il vino buono e la padrona bella. Ho frequentato Neill per trent’anni, tra alti e bassi dovuti a qualche incomprensione, (sempre superate!) e sostanzialmente legate ai suoi comportamenti caratteriali oltre a differenze di vedute e di impostazione, relative alle ricerche sul campo (mai superate!). Tali differenze non hanno comunque impedito la realizzazione di molti progetti in comune. Voglio ricordare tra le iniziative organizzate insieme quella dell’aprile 1972, dove nel salone del Conservatorio Paganini (all’epoca allocato nel Palazzo della Meridiana) avevamo fatto ascoltare diversi brani della tradizione ligure nonché, oltre a una performance dal vivo dei canterini della Nuova Pontedecimo. La presenza di Neill è stata fondamentale per far conoscere e muovere l’attenzione verso i repertori della nostra Regione: il Trallalero, i concerti di campane, i canti delle Confraternite, i canti tipici dell’entroterra ligure. Io ho ricambiato quanto da lui ricevuto facendogli conoscere negli anni Settanta diverse realtà della tradizione. Lui registrava col suo Nagra, cosa che io non ero ancora in grado di fare.

Voglio anche ricordare, per quanto mi riguarda, la serie di incontri accompagnati da sedute di ascolto, in questo caso di musiche da concerto, nel suo studio di via S. Luca 11, che lui chiamava “pomeriggi modali” perché basati essenzialmente su musiche inglesi aventi svariati punti di contatto con le tradizioni popolari. A volte ci si vedeva a pranzo con l’intenzione di lavorare nel pomeriggio, intenzioni non di rado tradite a causa del prolungarsi della permanenza a tavola, a volte conclusa con qualche bicchierino di troppo. Tornando al tema più specifico della musica popolare, quello che più ci ha separato è stato il suo essere legato in qualche modo alla tradizione etnomusicologica inglese e all’International Folk Music Council, dove la facevano da padrone le definizioni di “autentico” e “genuino”. Neill era rimasto fedele a quest’impostazione, continuando ad applicare i concetti di “autentico” e “non-autentico” anche in relazione al repertorio del trallalero, il quale, specie se pensiamo ad un modo di cantare urbano, non credo possa esserne soggetto.

Tuttavia questo accento posto su ciò che è “autentico” è stato molto importante per il rilancio dei trallaleri antichi all’inizio degli anni Settanta, ancora sepolti sotto il repertorio “da palco” rappresentato dalla canzone d’autore genovese. Il trallalero veniva allora usato semplicemente per scaldare la voce prima dell’esibizione “vera e propria”. Neill spesso insisteva affinché le squadre cantassero esclusivamente trallaleri e trovandomi inizialmente allineato su questa posizione. Quest’insistenza, unita al fatto che al di fuori di Genova i trallaleri venissero molto apprezzati, fece sì che i canterini diventassero ricercatori di se stessi e iniziassero a fare a gara a chi ne conoscesse di più. Credo di aver realizzato, il primo concerto di soli trallaleri nei primi anni Settanta al Castello d’Albertis di Genova, nel contesto di Genoa Folk con la Squadra della Nuova Pontedecimo; mi pare che il presentatore fosse Joe Sentieri. Successivamente mi allontanai da questa posizione:
dal momento che finalmente il repertorio più “tradizionale” era di nuovo in campo, trovai fosse giusto che si cantasse tutto; a onor del vero anche per amuentare la varietà dei canti da proporre in concerto. Neill su questo non fu mai d’accordo.

Alla sua scomparsa sono riuscito a far acquistare dalla Regione Liguria tutto il materiale delle sue ricerche sul campo (1968 – 1989) e l’intera sua “biblio-discoteca” ricchissima di suoni di quello che potremmo chiamare “repertorio etno”.

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