Questa volta parliamo di Carlo Denei, comico e autore televisivo. Ha fatto parte fin dalla sua fondazione dello storico gruppo Cavalli Marci ed oggi è in pianta stabile dal 2005 a Striscia la Notizia. Denei è a Cologno Monzese per curare il monologo iniziale di Ezio Greggio. Quando in gennaio Greggio va via, Denei torna in Liguria a fare molte cose.
Carlo, da gennaio fino a metà settembre come organizzi il tuo lavoro?
In questo momento della mia vita sto facendo parecchie cose oltre al cabaret. Intendiamoci, quello del comico è il gioco che so fare meglio e che amo di più, il cabaret mi ha premiato al di là dei miei reali meriti; grazie alla comicità ho partecipato a diversi programmi televisivi sulle reti Rai e Mediaset, ho calcato per almeno quaranta volte il palco del Politeama Genovese, il “mio” teatro, quattro volte l’Ariston di Sanremo, una quindicina il Ciak e il Nazionale di Milano e così via. Ma non credo che continuerò a salire su un palco anche in tarda età. Se non vorrò scendere, dovrò virare verso altre espressioni che mi permettano di comunicare con la gente, e visto che sistemi per esprimere ne conosco altri, sto cercando di adottarli tutti, o almeno tutti quelli che conosco. Quindi ho deciso di cimentarmi anche in discipline diverse dal cabaret duro e puro.
Ad esempio la scrittura?
Sì, in febbraio è uscito il mio settimo libro, ed è quello che più mi somiglia. S’intitola “Come se fossi sano” ed è quasi un manuale per ipocondriaci. Un vero e proprio diario di un anno vissuto da un incallito ipocondriaco; mai una vera malattia ma ogni giorno un disturbo diverso che viene annotato affinchè non sia dimenticato o peggio, superato da un più grave problema.
La presentazione del libro è stata bellissima. Eravamo da Feltrinelli a Genova, in centro, il relatore per l’occasione era l’attore Alessandro Bianchi, mio amico e collega nei Cavalli Marci. C’era pure un ospite musicale, il cantautore genovese Enrico Lisei con “La nevrosi”, una divertentissima canzone che alla fine degli anni ’90 spesso esibiva al “Costanzo show”. Quel pomeriggio in libreria c’era tantissima gente e tutti comprarono il mio libro che quel giorno andò subito in esaurimento. Non so se Feltrinelli ha poi rifatto gli ordini, perché l’editore è un altro (Cordero Editore).
Ma tu sei realmente ipocondriaco?
Sì, infatti il personaggio del libro non è altro che la mia caricatura.
Quello dell’ipocondria è un argomento che mi ha affascinato e terrorizzato al punto da farmi scrivere (per esorcizzare le mie reali paure) monologhi comici e canzoni. Anni fa, e più precisamente nel 1996, uscì una raccolta in cassetta intitolata “Baci e bacilli” dove c’erano canzoni (un paio di queste furono arrangiate dal maestro e amico, Paolo Besagno) dai titoli che non lasciavano spazio ad altre interpretazioni: “Blocco renale” “Fegato blu”, “Morte in diretta”…
Restando sul tema ipocondria, ti sei anche buttato sul teatro vero e proprio
Bè, si tratta comunque di teatro comico, ma non è certo cabaret, è teatro con tanto di regia, luci e quarta parete. Dall’aprile del 2016 porto in scena “Se c’è pubblico guarisco”, con la regia di Lazzaro Calcagno. Sono dentro la magica scatola a raccontare una storia senza le interazioni col pubblico cui ero abituato. L’ho già replicata parecchie volte e alla fine di ogni rappresentazione ci sono persone che vengono a dirmi: “Anche io sono così ansioso, ma ora che ho visto il tuo spettacolo sento che qualcosa è cambiato”.
Restiamo sul teatro, ho sentito che ti darai al dialettale
Sì, ci siamo quasi ed è un altro sogno che si realizza. L’ultima mia apparizione in una commedia simile l’ho fatta nel 1985, recitavo poche battute in “L’estratto di toromicina” con Franco Palladini, un grande autore e attore di commedie in genovese.
Ho conosciuto la lingua della mia città natale prima di imparare l’italiano. Da bambino, fino all’età di quattro anni, ho dialogato allegramente in genovese con mio nonno materno. Dopo la sua morte non l’ho più parlato se non in sporadiche occasioni, però ho mantenuto la padronanza. Così ho accettato questa nuova scommessa e insieme col mio amico e collega Stefano Lasagna e la mitica e pirotecnica cantante Franca Lai presenteremo in primavera una commedia tutta da ridere, in genovese. Franca interpreterà una improbabile signora delle pulizie con la passione per il canto e durante lo svolgersi della commedia, canterà qualche suo storico pezzo.
A proposito di cantare, parlaci di Juan Bon Govi
È un personaggio semicomico, un cantante che mi sono inventato per comunicare nella mia lingua d’origine. Sul palco racconto che è nato per avvicinare gli anziani che amano il genovese alla canzone italiana ed è una via di mezzo tra la rockstar Jon Bon Jovi e Gilberto Govi: Juan Bon Govi, appunto. Traduco, ma non proprio letteralmente le canzoni di Morandi, di Mina o Ruggeri. Per esempio “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stone” diventa “Ghe-a un fantìn che còmme mi u l’amàva i Trilli e a Franca Lai” Eccetera.
E le canzoni serie?
Quelle le ho sempre fatte, solo che trovavo sconveniente mostrarle in pubblico. Le proponevo ad amici, a mia moglie, alle persone di cui mi fidavo e che a volte potevano dirmi se il pezzo era brutto oppure no. Poi scrissi una canzone nostalgica dal titolo “Secolo e Focaccia”, arrivò all’orecchio dell’allora direttore Alessandro Cassinis che decise di farmela pubblicare. A quel punto basta dubbi o remore, sono diventato un fiume in piena ed ho incominciato a scrivere senza fermarmi. Dopo il cd “Secolo e focaccia” è uscito “L’ora di te”, una raccolta di canzoni pop cantautorali, che mettono al centro della scena l’amore. Amore per la donna che ho sposato, amore per la mia città e anche per il pianeta, così poco amato e sofferente.
Grazie ai miei amici Davide e Alessandro De Muro, chitarristi immensi e splendide persone, ho fatto diversi concerti ed ho preso parte ad un’edizione di “Ottobre De Andrè” organizzata dai “Fieui di caruggi” di Albenga.
Io, ci tengo a dirlo perché non vorrei passare per quello che sa fare tutto, non sono un musicista e suono la chitarra piuttosto male, solo mi diverto a mettere la musica a certe mie parole. Credo sia legale.
Faccio anche canzoni su ordinazione. Ne ho scritto una che parla di artigiani, e qui c’è la collaborazione dei Giovani Canterini di Sant’Olcese, una che parla di pesto e una sulle acciughe. Sono tutte inedite, per adesso, ma spero ne sentirete parlare presto.
Parlaci della tua prossima camminata con i Trilli
Somiglia al mio viaggio a piedi che feci nel 2018 da Genova a Sanremo per promuovere il cd “L’ora di te”.
Quella volta raggiunsi Sanremo in otto giorni col solo uso delle scarpe, era la settimana del Festival, la cosa ebbe un discreto riscontro, ma non il successo che avevo immaginato alla partenza (anche perché alla partenza ne parlò persino Striscia la Notizia), la verità è che il Festival di Sanremo non ti favorisce, ti schiaccia e ti riduce in polpette perché lo spazio lo vuole tutto per se.
Stavolta con Vladi e i Trilli partiremo a piedi da Chiavari, una città del Levante ligure, per omaggiare tutta la Liguria. Metteremo al centro le nostre eccellenze e non solo musicali. (cucina, scultura, danza, sport, poesia e pittura del nostro territorio).
E poi la lingua: a trentacinque anni dal debutto al festival di Sanremo di Pippo e Pucci, i Trilli riporteranno a Sanremo “Pomeriggio a Marrakech”, la canzone con cui i Trilli avevano partecipato cantando in italiano, solo che stavolta la faranno rigorosamente in lingua ligure.
Partiremo il lunedì di pasquetta, 13 aprile 2020, lontani dal Festival e saremo come un treno che si ferma a far salire gli artisti che avranno piacere di parlare di un loro lavoro, vecchio o nuovo e potranno portarlo sul palco la sera del nostro arrivo alla tappa conclusiva su un palco importante. Abbiano chiesto l’Ariston. Speriamo ce lo diano.
Denei, concludendo, a Roma direbbero: facce ride
Ok, chiudo con una battuta su noi genovesi a cui non rinuncio mai nei miei spettacoli e che racchiude l’essenza della nostra presunta tirchieria: noi genovesi, in caso di suicidio, non ci uccidiamo col gas ma con la luce; accendiamo la luce in tutte le stanze e ci lasciamo morire d’infarto davanti al disco del contatore che gira come un frullino.
Non esiste più il contatore della luce col disco, ma la battuta resiste e, vi assicuro, fa sempre un certo effetto sulla gente.
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