…ruhe!…ruhe!

Intervista a Paolo Besagno

Paolo Besagno ha studiato Pianoforte con il M° Giuseppina Schicchi e Composizione e Musica Elettronica con il M° Riccardo Dapelo. E’ proprio la musica elettronica a caratterizzare la sua produzione, anche se da più di venticinque anni canta nel ruolo di contralto nella formazione di trallalero genovese “I Giovani Canterini di Sant’Olcese”.

Nel 1996 vince il Premio Città di Recanati – Nuove tendenze della canzone d’Autore con il brano “O trallalero canson de ‘na vitta” per squadra di canto popolare genovese. Nel 2009 il suo brano “In primo vere” per voci di bimbe e nastro magnetico viene selezionato ed eseguito a Emufest presso l’Accademia di Santa Cecilia in Roma. Nel 2015 il suo brano “Largo IV” per nastro magnetico e impianto di diffusione a 24 canali viene eseguito alla rassegna “Suoni Inauditi”, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Pietro Mascagni” di Livorno. Sempre nel 2015 fonda con l’amico, libero organizzatore di suoni, Rinaldo Marti, il consort vocale“EthnoGenova”, collaborando alla realizzazione di un progetto per l’ascolto interattivo/immersivo del trallalero genovese.

Nel 2018 il suo brano “Witte flame” viene selezionato ed eseguito al festival Rimusicazioni di Bolzano.

Paolo Besagno, Sandro Secchi, Stefano Bosi

Parliamo di …ruhe…ruhe!

…ruhe…ruhe! è una riflessione o, per citare la frase che accompagna da anni questo lavoro, «un libero ragionamento sulla sofferenza».

Procediamo con ordine: vuoi raccontarci di cosa si tratta, a quale tipo di rappresentazione potrà assistere il pubblico?

E’ un’installazione multidisciplinare. Sul palco, tre musicisti – (Paolo Besagno: pianoforte, voce e elettroniche; Stefano Bosi: fisarmonica; Sandro Secchi: voce, chitarra, arrangiamenti – N. d. R.); la musica che si ascolta spazia dalla canzone d’autore all’elettroacustica. Il trio esegue otto brani in lingua genovese, mentre sullo schermo vengono proiettate immagini che hanno come filo conduttore la sofferenza dell’uomo, vista attraverso la lettura della passione di Gesù. Si passa da un ambiente prettamente tonale, tipico della canzone d’autore, a sequenze acusmatiche le quali, dal punto di vista dell’ascolto, si trovano agli antipodi rispetto alla prima. Unico brano esterno alla sequenza relativa alla Passione narrata nei Vangeli, è Tu dolcissima madre, cantato in tre lingue: greco antico – nella bella traduzione di Aldo Giavitto – genovese e italiano.

Cosa intendi per «lettura della Passione»?

I testi delle canzoni sono tratti dai Vangeli Sinottici, ma non si tratta di una vera e propria traduzione: potrei dire che sono delle ricostruzioni ambientali di quella che viene chiamata Via Crucis, pensata in genovese, riproposta al pubblico in tale lingua e sottotitolata in italiano.

Innovazione e tradizione, dunque?

Sì. Innovazione, se così possiamo dire, nell’uso della musica elettroacustica, a dire il vero ormai neanche più tanto innovativa e tradizione, nella canzone d’autore e nella la scelta delle immagini, ricaduta sulle Confraternite liguri con i loro Cristi e sulle Tele Blu, conservate al museo Diocesano di Genova – che ringrazio per averci permesso di pubblicarle – raffiguranti scene della passione di Cristo, dipinte su tela di jeans. Le immagini dei Cristi in processione sono di Andrea Giliberto mentre le Tele Blu sono ritratte in una serie di scatti di Massimo Barattini. Un’intera sequenza è dedicata a immagini dall’Africa, realizzate da Giancarlo Trovati. Le foto di apertura meritano una riflessione: si tratta di inquadrature del Ponte Morandi. Quando le scelsi, mai avrei pensato che un giorno sarebbero divenute il simbolo della grande sofferenza di un’intera città!

Tradizione è anche l’uso del greco antico in un brano, Ὤ ἡδιστε σύ μῆτηρ (Tu dolcissima madre – N. d. R.), lingua nella quale ci è pervenuta una grande parte di documenti dell’antichità e, tra questi, le Scritture.

Che ruolo hanno, nell’installazione, le Confraternite Liguri?

I cristezanti (dal genovese: portatori dei crocifissi – N. d. R.) partecipano all’installazione, portando un crocifisso sulla scena. Il Cristo viene tenuto in piedi, poggiato a terra, per tutta la durata del concerto e solo quando suoniamo l’ultimo brano, quello relativo alla resurrezione di Gesù, il portatore lo mette in crocco (la speciale cintura di cuoio che serve al portatore per sorreggere la croce – N. d. R.), come si dice tradizionalmente, e fa risuonare i canti, ossia le decorazioni floreali in oro, poste alla sommità dei bracci della croce. Queste decorazioni, costituite da fiori metallici dorati, scosse dai movimenti del portatore per tenere in equilibrio il crocifisso, emettono un suono caratteristico.

La sofferenza, un tema sempre attuale.

La sofferenza è nella natura dell’uomo. La storia che raccontiamo nel nostro concerto è universale, livella tutti sullo stesso piano. Non è necessario essere credenti per leggerla, si può infatti superare il concetto di Cristo-Figlio-di-Dio e pensare semplicemente a un episodio molto doloroso e comune: la storia di un uomo condannato, con molta probabilità, ingiustamente.

Quest’ignominia è stata applicata ciclicamente, in vari periodi storici compreso il presente, a intere porzioni di genere umano. In un primo momento …ruhe…ruhe! gravitava di fatto attorno alla tragedia della Shoah, ma presto ci siamo accorti che, purtroppo, tale connotazione era riduttiva.

Hai accennato alla Shoah. Il titolo …ruhe!…ruhe! Affonda le sue radici proprio là, nello sterminio degli ebrei?

…ruhe!…ruhe! è un intercalare di leviana memoria. L’ho letto per la prima volta tra le pagine di Se questo è un uomo di Primo Levi. In tedesco vuol dire «silenzio!», «state zitti» o qualcosa di molto simile. Era una delle tante voci che si potevano udire nelle baracche dei campi di concentramento quando era ora di coricarsi e cercare di dormire. Ruhe significa letteralmente «pace». Forse è stato questo contrasto, scaturito dal concetto di pace, calato quasi fuori luogo nel buio del campo di concentramento, a farmi pensare alla sofferenza. Da lì, alla passione di Cristo, il passo è stato breve.

Dopo tanti anni, cosa rappresenta per te quest’opera?

Un’esperienza straordinaria, condivisa con due grandi amici. Sandro per me è un fratello. Lo conosco da quando eravamo ragazzini e la musica ci ha sempre legati; questo progetto, che suoniamo da così tanto tempo, ha avuto fin dalle prime esecuzioni una sua forma definitiva e distintiva proprio grazie al suo lavoro: gli arrangiamenti di …ruhe…ruhe! sono tutti di Sandro. Stefano, dal canto suo, ha grande sensibilità e considerevole esperienza, soprattutto per quanto concerne la musica d’insieme, caratteristiche che emergono puntuali nelle sue efficaci parti strumentali. E’ bellissimo sentirsi compresi…

Prossimi appuntamenti?

Lunedì 8 aprile 2019, ore 20.30, Chiesa di S.Zita a Genova in Via S. Zita 2

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